Il peso significativo del fenotipo in Europa: durante i colloqui di lavoro il colore della pelle fa ancora la differenza.
Nel 21esimo secolo il colore della propria pelle risulta ancora un problema in gran parte d’Europa. Le discriminazioni sono presenti anche sul luogo di lavoro dove, durante i colloqui, c’è ancora chi torce il naso davanti ad una carnagione diversa dalla propria.
Una discriminazione a priori
A determinare questo risultato, sono stati gli studi condotti da alcune università in Belgio, Spagna e Germania. Tuttavia, anche l’Italia ha deciso di approfondire l’argomento indagando invece sui cittadini dalla pelle bianca che, in occasioni del genere, si sono sentiti discriminati per il loro luogo di origine.
Chi ha un ‘fenotipo’ non bianco viene discriminato fin dalla lettura dei curriculum vitae dotati di fotografia. La selezione di un nuovo collaboratore viene così determinata, non dalla sua idoneità per una specifica posizione, ma dai pregiudizi del datore di lavoro o ancor prima da quelli dei recruiter.
Lo studio delle università
L’università Carlos III di Madrid e di Amsterdam con il Centro di scienze sociali di Berlino e il Centro tedesco per la ricerca sull’integrazione e la migrazione, hanno pubblicato il loro studio su Socio-Economic Review. Qui si legge: “Gli individui nati da genitori immigrati, perfino quando nati e residenti in Europa, affrontano sfide significative nel trovare un impiego”.
Le ricerche evidenziano che avere un fenotipo nero o asiatico o nativo americano, riduce la probabilità di interesse da parte del datore di lavoro di circa il 20% in media. Gli individui con un fenotipo caucasico dalla pelle scura del Nord Africa invece, affrontano una riduzione di circa il 10% nell’interesse medio rispetto a quelli con un fenotipo bianco.
L’esperimento dei CV con foto fittizie
I ricercatori hanno scelto dei CV con le competenze reali delle persone interessate, modificando però i nomi e le fotografie allegate. Questi sono stati inviati a quasi 13.000 aziende europee con domande di lavoro simulate.
Tutti i richiedenti fittizi erano giovani cittadini dei rispettivi paesi europei (con la nazionalità del paese in cui è stato condotto l’esperimento), nati da genitori provenienti da quattro grandi regioni del mondo (Europa-USA, Maghreb-Medio Oriente, America Latina-Caraibi , e Asia).
I ricercatori hanno riscontrato “una forte evidenza che l’aspetto razziale dei richiedenti innesca un comportamento discriminatorio. Per dirla senza mezzi termini, molti discendenti immigrati in Europa sono discriminati perché hanno fenotipi visibilmente atipici, ovvero non bianchi”. Aggiungono poi che “con l’aumento del numero di candidati di seconda generazione che entrano nel mondo del lavoro, aumenta anche il numero di nuovi cittadini europei a rischio di subire discriminazioni razziali basate sull’aspetto”.
Discriminazioni in Italia
In Italia si incontra la stessa problematica soprattutto all’interno di enti pubblici. Uno studio dal titolo ‘Law-Leverage the access to welfare’, condotto dal Centro studi sulle migrazioni nel mediterraneo Medì di Genova insieme all’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, dichiara: “Lo sguardo diffidente e sminuente che sette intervistati su dieci dichiarano di sentire su di sé è la sottile linea di confine tra la prassi e una discriminazione giuridica e istituzionale vera e propria”.
Emerge che 4 intervistati su 10 hanno dichiarato di non aver potuto accedere ad un concorso pubblico perché veniva richiesta la cittadinanza italiana, mentre 3 su 10 hanno dichiarato di non essere stati assunti perché l’azienda ha fatto intendere che non assumeva stranieri.